IL MANTELLO DEL COLLIE NELL’EVOLUZIONE DELLA RAZZA

IL MANTELLO DEL COLLIE NELL’EVOLUZIONE DELLA RAZZA

di Lucio Rocco


  All'inizio del XX secolo, parlando degli anni delle prime esposizioni, Charles Wheeler, uno dei maggiori esperti inglesi della storia e delle origini del collie, raccontava:

 

 "In quel periodo si vedevano collie di ogni colore immaginabile: mantelli color camoscio, rossi, macchiati di vari colori, ma ben pochi di color sabbia. I più diffusi erano i mantelli di colore nero, bruno e bianco, oppure nero e bianco (senza focature) insieme a quelli che ora vengono chiamati blu merle, ma che erano allora conosciuti con il nome di guscio di tartaruga".

 

  A quell'epoca non esisteva alcuna distinzione circa la lunghezza del pelo, anzi, se una differenziazione si faceva, era sul diverso impiego nel lavoro, piuttosto che sull'aspetto estetico.

 

  Questa situazione era codificata dalle regole allora vigenti.

 

  L’originale standard inglese della razza del 1881, che trattava entrambe le varietà di pelo come un'unica razza, alla voce COLORE laconicamente sentenziava: “senza importanza”. La spiegazione di tanta frugale avarizia letteraria non può che essere data dal fatto che, sebbene la deleteria stagione delle esposizioni fosse cominciata già nel 1860, la selezione era ancora basata sulla capacità di lavoro, per nulla influenzata dal colore del mantello.

 

  Qualche eccezione esisteva fin da allora nei riguardi del mantello bianco. Molti pregiudizi hanno accompagnato questo colore durante tutta la storia della razza, dagli inizi fino ai giorni nostri. Charles Wheeler riferiva che inizialmente la preferenza fu per i cani con pochissimo bianco, anzi l'assenza del bianco era portata a riprova della purezza della razza e questa convinzione sembrò prevalere inizialmente anche negli Stati Uniti. Del resto, questo colore era sempre stato al centro di controversie tra gli stessi pastori per la sua somiglianza col colore delle pecore, nonché con quello della neve.

  Non è questa la sede per citare pareri in favore dell’uno o dell’altro colore, rimane però il fatto che, al di là della stringata definizione della voce COLORE nello standard del 1881, una qual certa ostilità verso il mantello bianco serpeggiasse già tra gli allevatori.

 

  Lo stesso standard in vigore nella patria d’origine della razza, redatto dal Collie Club Scozzese nel 1885, ancora semplicemente sanciva: "qualsiasi colore" e potremmo aggiungere anche: qualsiasi varietà di pelo. D. J. Thomson Gray, autore del libro "The dogs of Scotland", esprimeva, nel 1891, la sua ammirazione per i tricolori e personalmente non possiamo che sottoscrivere la sua opinione e la sua colorata descrizione di questa meravigliosa varietà:

 "Non vi è, in un Collie, colore più bello del nero, bianco e marrone chiaro; le focature sono limitate alla parte inferiore delle gambe ed alle macchie sopra gli occhi. Il petto é bianco, con un grande, ampio collare bianco ed anche la punta della coda é bianca. Un cane siffatto, con il muso bianco ed una fiammata di colore sul viso, è come un'immagine sacra. 

  Il tanto ammirato colore grigio e nero, così comune negli esemplari da esposizione, si incontra raramente tra i Collie da lavoro, che sono per lo più bianchi e neri. I cosiddetti collie bianchi non incontrano molto favore. Tra coloro che invece preferiscono il colore sabbia vi era il compianto Panmure Gordon, Presidente dello Scottish Kennel Club, uno dei più accaniti sostenitori di questa varietà".

 

  La revisione dello standard, fatta dal Kennel Club Inglese nel 1898, ancora una volta riferita sia alla varietà a pelo lungo che a quella a pelo corto, confermava quanto era stato sancito circa il colore nel 1881, ossia “senza importanza”

  Nella successiva revisione del 1910, sempre per entrambe le varietà di pelo, cominciava a prendere forma un certo metro di giudizio di questo carattere, perché, a proposito del colore, si affermava:

 

“... è senza importanza, ma a parità di altri caratteri, è preferito un bel cane dalle marcature nette. I colori bianco e rosso, tipo setter, sono molto criticabili”.

 

  Il colore dunque era ancora senza importanza, ma entro certi limiti; lo standard affermava infatti che doveva essere penalizzata la gradazione di colore del setter. Il motivo di questa precisazione è da ricercare negli incroci che si andavano facendo all’inizio del XX sec. con il Setter Gordon ed il Setter Irlandese, nel tentativo di migliorare il colore del collie. Tra i cani adoperati per questi incroci ci deve essere stato, oltre al setter, che aveva lasciato traccia sulla tonalità del fulvo, sicuramente anche il Borzoi; ed è a questa razza che alcuni attribuiscono l’introduzione del bianco nel collie.

 

  Tuttavia Constance Hubbard (Astolat) in un articolo del 1949 pubblicato sul periodico “The White Collie Chronicle” e riportato da Milo Denlinger nel suo libro "The Complete Collie", affermava che esistevano collie bianchi già nel 1881 e citava una femmina, chiamata Lily, bisnonna del più famoso Metchley Wonder, ritenuto da molti il responsabile dell’introduzione del fattore bianco negli Stati Uniti.

 

  La preferenza per un disegno appariscente sul mantello del collie fu un ulteriore tributo pagato dalla razza alle esposizioni di bellezza, perché fu la causa della sparizione dei cani unicolori. Basti pensare al “black and tan”, cane nero focato quasi senza tracce di bianco, tanto utile nella produzione del merle secondo Arkwright, e sacrificato sull’altare della bellezza fine a se stessa.

 

  Lo standard del Kennel Club inglese del 1950 per lo Smooth ed il Rough collie, vide sparire il riferimento al colore del setter (forse perché gli incroci con quella razza erano stati ormai abbandonati da anni ed i loro effetti scomparsi) e sottolineare ancora la preferenza per le marcature nette:

 

  “Colore e marcature sono punti senza importanza, ma, a parità di ogni altro carattere, è preferito un cane dalle marcature nette”.

 

  Dunque, fino a più di mezzo secolo fa il colore continuava sostanzialmente ad avere una rilevanza trascurabile, fatta eccezione per il riferimento alle marcature nette, che però compariva solo "a parità di ogni altro carattere".

 

  La stessa indifferenza sembrava esserci anche nei riguardi delle due varietà di pelo. Solo in apparenza però: il fuoco ormai già covava sotto la cenere

  Già verso la fine del XIX secolo, quando i Rough Collie erano una razza ormai apprezzata nelle esposizioni, si cominciarono ad incrociare alcuni Smooth con i migliori esemplari Rough da show, al fine di migliorare l'aspetto estetico del collie a pelo corto per farne un cane da esposizione. La storia é narrata molto bene da Iris Combe nel suo libro "The Smooth Collie, a family dog", che così spiega il malumore che serpeggiava tra i cultori delle due varietà:

 

"Ai puristi del Rough non piacque questa mossa perché essi sentivano che veniva introdotto nella razza un elemento di 'grossolanità', mentre i puristi dello Smooth temettero che le particolari qualità della loro razza, come cane da pastore e mandriano, sarebbe andate perse".

 

  Nonostante i malumori di alcuni tra i più radicali cultori di entrambe le varietà, lo status quo era generalmente ritenuto accettabile, perché prendeva atto del fatto che esse appartenevano alla stessa razza e permetteva dunque di iscrivere i cuccioli qualunque fosse la lunghezza del loro pelo e di quello dei loro genitori. Esattamente come avviene oggi negli Stati Uniti ed in Canada.

 

  Ma questo non era ancora sufficiente agli allevatori del nuovo Smooth da esposizione che, possiamo immaginare, non avesse molte possibilità di battere sui ring il fratello a pelo lungo, così costoro cominciarono a puntare sempre più insistentemente su una separazione delle razze, con un proprio standard e propri giudici. E' incredibile la loro cecità sulle conseguenze che ciò avrebbe causato alla razza.

 

  Così, la versione dello standard del 1969 fu per la prima volta riferita solo alla varietà a pelo lungo, elevandola al rango di razza, ma condannando il fratello a pelo corto ad un rapido declino, tanto che il Kennel Club lo ha inserito dal 2003 nell'elenco delle razze a rischio di estinzione, meno di 300 iscrizioni all'anno in Gran Bretagna dal 1993 al 2003 e solo 52 cuccioli iscritti nel 2010, cosa che però sembra non preoccupare affatto i dirigenti dello Smooth Collie Club of Great Britain.

  Ma non fu solo questa l'unica innovazione di quella infelice edizione dello standard, veramente rivoluzionaria in senso negativo.

 

  Comparve improvvisamente, e senza alcun preavviso, il riferimento diretto ai colori ammessi. Tre: sabbia, tricolore e blu merle, con le classiche marcature bianche. Il colore bianco, che faticosamente era riuscito negli ultimi anni a ritagliarsi uno spazio ristretto nel cammino della selezione, ancora una volta diventava inaspettatamente ed irragionevolmente “fuori legge”.

 

  Non sappiamo perché improvvisamente furono prese queste decisioni, che sembrano ancor più sbagliate oggi, quando molti degli studiosi del collie insistono sulla necessità di una improrogabile ricerca di una ormai indispensabile diversità genetica.

 

  Fino a quel momento era stato possibile allevare ciascuna razza, volendolo, come razza pura, ma di incrociarle quando lo si riteneva necessario, registrandone le cucciolate. "Quella non fu una decisione presa da allevatori di collie. Non sono forse costoro ad avere la responsabilità della salvaguardia del futuro della razza?". Così commenta con amarezza questo avvenimento l'allevatrice australiana Mim Bester (Baqilodge).

  Ma si sa, la natura, cacciata dalla porta, rientra dalla finestra più possente di prima; l'impossibilità di imbrigliarla dovrebbe convincerci a lavorare per realizzare con essa equilibrio ed armonia. Non saranno certo ottusi regolamenti a determinare la sparizione di certe varietà che l'uomo ha dichiarato "non ammesse". Così, accanto alle varietà "fuori legge" del mantello del collie, tuttora vive e vegete, ne appaiono all'orizzonte di nuove, che nei prossimi anni porranno seri dubbi ai "puristi" della razza. Ci riferiamo ad esempio alla varietà arlecchino, che potrebbe portare grossi problemi nelle nursery dei nostri canili, dove increduli allevatori saprebbero bene come affrontare il pericolo se solo andassero a rivedere il significato cinotecnico della parola "bellezza".

  Oggi la situazione è, almeno per i paesi affiliati alla FCI, ancora sostanzialmente la stessa, ed il bel colore bianco del collie, che risale all'origine di questa razza, sarebbe stato condannato all'estinzione dalla cecità proprio di coloro cui la tutela della razza era affidata, se altri nel mondo non fossero stati decisi a battersi ostinatamente per la sua conservazione. Così, lo standard dell’American Kennel Club, alla voce COLORE, recita:

 

“I quattro colori riconosciuti sono Sabbia e Bianco, Tricolore, Blue Merle, Bianco. Non vi è alcuna preferenza tra loro”.

  Dunque negli Stati Uniti è riconosciuto anche il collie bianco, così descritto dallo standard:

 

“... è prevalentemente di colore bianco, preferibilmente con marcature zibellino, tricolore o blu merle”.

 

Lo standard del Canadian Kennel Club va addirittura oltre, ed alla voce colore recita:

 

“Non c'è nessuna preferenza tra i cinque colori riconosciuti consentiti nei ring delle esposizioni. Essi sono: Sabbia e Bianco, Tricolore, Blu Merle e bianco, Merle Sabbia e Bianco, Bianco”.

 

A proposito di quest’ultimo lo standard canadese lo definisce:

 

“Un Collie fondamentalmente bianco con la testa colorata e idealmente con non più del 20% di colore sul corpo. Il colore secondario può essere uno qualsiasi dei colori o delle combinazioni di colori ammessi”.

  Dunque nello standard canadese compare anche il merle sabbia, ossia il fattore di diluizione merle applicato ad un mantello sabbia, su cui gli americani stanno dissertando da anni, ma che i canadesi considerano assolutamente naturale. Il problema principale che divide gli allevatori americani é la difficoltà di riconoscere la presenza del fattore di diluizione nei collie sabbia e nella conseguente eventualità di accoppiare inconsapevolmente due merle. Naturalmente il problema non ci sarebbe se gli allevatori ricorressero con maggiore frequenza ai test del DNA oggi disponibili in commercio.

  Per quanto riguarda infine le due varietà di pelo del collie, esse sono rimaste varietà della stessa razza in Europa fino alla prima metà del XX secolo, e le considerazioni fatte prima sul colore si applicano ancor oggi ad entrambe senza alcuna differenza, cosa che apparirebbe alquanto strana se le due varietà fossero, come la cinofilia europea vuole, razze diverse. Così é oggi negli Stati Uniti ed in Canada e così era una volta in Europa. Questo modo di pensare ha salvato finora in quei paesi dal rischio di estinzione il collie a pelo corto, che in Europa, rispetto al fratello più famoso, fa la parte della Cenerentola, avendo poche occasioni di mostrare le sue eccezionali capacità nel lavoro come avveniva una volta. A quell'epoca i pastori preferivano lo Smooth, il cui pelo non si impiastricciava con la neve ed era comunque così denso da dare sufficiente protezione contro il freddo, pur non rappresentando un problema nella stagione calda.

 

  Dell'unicità della razza era perfettamente convinta anche Margaret Osborne, che in uno dei suoi tanti libri scriveva: "Non si può definire il collie a pelo raso semplicemente un cane della stessa famiglia del collie, perché in realtà esso appartiene esattamente alla stessa razza, dal momento che ne differisce solo per il mantello. Possiede il tipo del collie e spesso, nel confronto, é anche assai più tipico, dal momento che é quasi impossibile celare un difetto in un cane con il pelo dello smooth".

 

  In realtà, senza l'intervento dell'uomo, il mantello del collie sarebbe ancor oggi un'esplosione di colori assolutamente naturale, così come era agli inizi della storia e nella tradizione della razza, perché é così che la natura l'aveva affidata all'uomo: tante varietà di colore da riempirne le strisce dell'arcobaleno, ma purtroppo si sa, come ricorda il Giudice americano Dorothy McDonald, “l’ultima parola su una razza, su ogni razza, spetta allo standard!”.